L’importanza dei software gestionali nelle PMI

L’importanza dei software gestionali nelle PMI

Oggi, qualsiasi realtà aziendale, piccola o grande, per essere competitiva sul mercato ha bisogno di strumenti che le permettano di raccogliere ed elaborare dati.

L’aspetto più interessante dal nostro punto di vista è che se in passato la Business Intelligence era alla portata soltanto delle grandi aziende, oggi l’evoluzione tecnologica ha fatto sì che gli strumenti di BI siano più accessibili e progettati per ogni livello di complessità, dal gratuito Google Analytics ai più complessi sistemi di analisi messi a disposizioni all’interno dei gestionali ERP. Gli strumenti di Business Intelligence permettono di monitorare ogni processo e di analizzarne i risultati grazie alla Data Visualization.

Ciò non toglie che la Business Intelligence ha pur sempre un costo legato, se non direttamente agli strumenti, al tempo impiegato per trovare insight utili e, come tutti i processi aziendali, va contestualizzato nel modo giusto, ottimizzato e fin dove possibile automatizzato. Ogni azienda dovrebbe trovare il suo processo ideale di BI, perché, se ben calibrata, quest’attività rappresenta un investimento per un processo decisionale più razionale.

L’importanza di costruire una cultura data-driven anche nelle PMI

Spesso, anche dopo aver dotato le aziende di sistemi di Business Intelligence integrati con il gestionale che quindi non richiedono praticamente nessuno sforzo per l’acquisizione e la visualizzazione, le PMI finiscono per non utilizzarli. Il problema è che spesso manca una cultura data-driven, un habitus di pensiero strategico capace di relazionarsi in maniera produttiva con i dati.

Ma come si costruisce una cultura data-driven in una piccola media impresa?

1. Definire obiettivi SMART

Definire obiettivi Specifici, Misurabili, Raggiungibili (in inglese Achievable), Realistici e Tempificabili è il primo passo per passare a un approccio decisionale data-oriented. È importante che questi obiettivi siano direttamente legati alla propria strategia di business e che supportino i macro-obiettivi a lungo termine dell’impresa.

Vediamo qualche esempio di obiettivo SMART nell’impresa manifatturiera:

  • “Velocizzare i tempi di produzione del 30% in un anno”
  • “Ridurre del 70% le giacenze di magazzino entro sei mesi”
  • “Ridurre del 90% i reclami dei clienti entro un anno”
  • “Aumentare del 25% le vendite dei negozi in Piemonte nella stagione autunnale”

Una volta stabiliti obiettivi del genere è possibile porsi domande altrettanto specifiche in merito, ad esempio:

  • Qual è la fase produttiva che richiede più tempo?
  • Qual è il reparto che satura la capacità produttiva più velocemente?
  • Qual è il fabbisogno di materie prime per ciascun prodotto?
  • Quali sono gli aspetti del prodotto e del servizio più spesso soggetti a reclamo?
  • Qual è lo stato attuale delle vendite?
  • Quali sono i prodotti più venduti?
  • Quali sono le caratteristiche del target?
  • Quale canale di marketing performa meglio?

Sembra banale, ma fare le domande giusto è l’unico modo per ottenere risposte utili: altrimenti i dati restano muti.

Riorganizzare le abitudini aziendali

La seconda fase da affrontare riguarda l’impostazione di nuove abitudini aziendali, in particolare relativamente ai seguenti aspetti:

  • Rimodulare le discussioni in modo che siano sempre guidate da dati concreti.
  • Riorganizzare il processo decisionale in modo che sia riferito agli insight raccolti.
  • Ristrutturare il modo in cui si comunica l’avanzamento dei lavori da reparto a reparto, in modo che sia sempre espresso in termini quantitativi e in relazione ai risultati.
  • Rivalutare il sistema motivazionale in modo che il team possa valutare i propri risultati attraverso dati concreti.
  • Tutto questo richiede tempo, coerenze e perseveranza: una cambiamento del genere non avviene dall’oggi al domani e dev’essere fortemente sostenuto da tutti i manager dell’azienda.

Big Data e Small Data: il segreto della Business Intelligence per PMI

Arriviamo infine ai dati. Ci sono due tipologie di dati che possono essere utilizzati dalle aziende:

  • Big Data
  • Small Data.

Ad oggi non c’è una vera e propria definizione di Big Data, anzi non è ancora ben chiaro se questo termine si riferisca semplicemente a tutti quegli enormi insieme di dati non strutturati disponibili su un determinato fenomeno o se sia un termine ombrello che indica non solo i dati, ma anche gli strumenti e le tecniche per analizzarli. In ogni caso, i Big Data permettono di capire le correlazioni tra grandi insiemi di dati, trovarne le dipendenze, prevederne i comportamenti futuri e quindi imparare molto sul mondo esterno, sui clienti, i fornitori e su altri fattori. Se in passato ottenere dati di questo genere era estremamente costoso (pensate a commissionare una ricerca di mercato ad hoc per voi), oggi è possibile reperirli in altri modi, in particolare grazie agli Open Public Data. Ciò non toglie, però, che in azienda deve esserci una figura competente in grado di capire quali dati servono, di rapportarli agli obiettivi di business e, soprattutto, di interpretarli nel modo giusto. Insomma, non sono soltanto l’hardware e il software a fare la differenza, ma le competenze delle persone che li interrogano.

Small Data è un termine ancora più recente, portato alla ribalta dallo studioso di neuromarketing Martin Lindstrom il quale li definisce come “i piccoli indizi che rivelano grandi trend”. Gli Small Data derivano dall’osservazione dei processi interni all’azienda e, soprattutto, dall’analisi dei fenomeni che il team di marketing, di produzione e di vendita può osservare direttamente. Tanto per fare un esempio ormai famosissimo, sembra che Lindstrom abbia risollevato le sorti della Lego facendo un chiacchierata con un undicenne tedesco e traendone deduzioni che in parte andavano in conflitto con i trend mostrati dai Big Data e che, contestualizzate nel modo giusto, si sono rivelate vincenti. L’approccio agli Small Data, quindi, è più di tipo etnografico che statistico, è come dire che i Big Data sono la faccia quantitativa della medaglia, gli Small Data quella qualitativa. E a livello di una PMI non servono squadre di antropologi, psicologi comportamentali e neuroscienziati per approcciarsi ai Big Data: basta osservare e mettere a confronto le proprie considerazioni in modo sistematico. Di nuovo, si tratta di un cambiamento più culturale che tecnologico, sebbene l’utilizzo di strumenti di Business Intelligence sia poi fondamentale a verificare la correttezza di certe intuizioni.

La vera svolta nell’era dell’Industria 4.0, quindi, è quella di riuscire a integrare Big Data e Small Data, tecnologia e intelligenza umana. E per farlo servono due cose:

  • un sistema informatico che integri tutti i processi aziendali e permetta una data visualization chiara ed efficace;
  • persone in grado di leggere non soltanto i dati, di interpretarli e di appassionarsi ad essi, ma anche di osservare creativamente il proprio ambiente di business.

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